Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la vendita di armi a Taiwan

Dopo l’abbattimento di un drone cinese da parte di Taiwan con le conseguenti accuse da parte della Cina all’isola dell’Oceano Pacifico, che considera una “parte alienabile”, si scrive un’altra pagina nei rapporti tesi tra le due forze.

Pelosi Ing-wen
Nancy Pelosi e Tsai Ing-wen – lettoquotidiano.it

Il Congresso degli Stati Uniti, infatti, ha approvato la vendita di armamenti a Taiwan per oltre un miliardo di dollari. Ringraziamenti da parte del governo taiwanese al Paese a stelle e strisce che punta a rafforzare la difesa aerea e la sicurezza marittima contro la Cina.

Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la vendita di armi a Taiwan

Un altro capitolo nei rapporti piuttosto tesi tra Cina e Taiwan (e anche gli Stati Uniti) è stato scritto oggi. Dopo l’annuncio del presidente americano, Joe Biden, di chiedere al Congresso l’approvazione per la vendita di armi per 1,1 miliardi di dollari all’isola del Pacifico, è arrivato oggi l’okay da parte dell’organo del governo federale.

Biden
Joe Biden – lettoquotidiano.it

Il pacchetto, secondo quanto riporta l’agenzia Cna, include 355 milioni di dollari per l’acquisto di 60 missili antinave Agm-84L Harppon e cento missili aria-aria Aim-9X Sidewinder, ma anche il supporto logistico e la manutenzione per i radar della difesa aerea.

Il Ministero della Difesa di Taiwan ha espresso sincera gratitudine nei confronti del Paese a stelle e strisce. Il suo obiettivo è quello di rafforzare la difesa aerea e la sicurezza marittima di fronte alla strategia della Cina della cosiddetta “zona grigia”, ovvero il ricorso a tattiche che vogliono cambiare lo status quo senza però innescare un’escalation che porti, di fatto, al conflitto vero e proprio. Ma la linea è piuttosto sottile, considerato come da Pechino avevano reagito alla notizia della richiesta di autorizzazione da parte di Biden e anche per quello che è successo negli ultimi giorni.

Cina-Taiwan, proseguono gli abbattimenti dei droni da parte dell’isola del Pacifico

In un tweet di qualche ora fa, dal Ministero della Difesa di Taipei fanno sapere che “cinque navi PLAN e quattro aeromobili PLA nella regione circostante sono state rilevate oggi“. Il monitoraggio della situazione ha portato come risposta attività con aeromobili in CAP, navi militari e terra sistemi missilistici basati“.

Ma questo non è niente rispetto a quello che è successo ieri quando le Forze Armate di Taiwan hanno abbattuto un drone civile proveniente dalla Cina, nei pressi delle isole Kinmen, a pochi chilometri dalle coste sud orientali cinesi, facendo ulteriormente aumentare la tensione tra le due forze.

Secondo il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, infatti, le mosse del governo dell’isola vogliono innalzare la tensione con la Cina: “Il tentativo del Partito Democratico Progressista di innalzare le tensioni non significa nulla“, ha detto il portavoce in risposta a una domanda sull’episodio, il primo di questo tipo mai registrato.

In realtà, però, da dove provenga il drone ancora non si sa, perché non ci sono conferme. Nei giorni scorsi, il Comando delle Kinmen ha più volte lanciato avvertimenti a gruppi di droni per lasciare il loro spazio aereo, che comunque non è riconosciuto come tale dalla Cina visto che considera Taiwan una “parte alienabile” del proprio territorio.

Il primo ministro, Su Tseng-cheng, ha definito “appropriato” l’abbattimento, sollecitando Pechino a usare moderazione, oltre che a “non creare problemi“. “Hanno ignorato l’avvertimento di andarsene e abbiamo dovuto eseguire questo tipo di tiro difensivo. Questa è stata la risposta più appropriata dopo ripetuti avvertimenti“, ha dichiarato il premier di Taiwan. La Cina, ha aggiunto, “dovrebbe sapere come esercitare moderazione e non creare problemi. Non provocheremo mai e utilizzeremo tutte le misure più appropriate per salvaguardare la sicurezza nazionale“.

La situazione, però, è tutt’altro che semplice. E ogni occasione potrebbe essere buona, anzi: ogni pretesto potrebbe essere utilizzato per scatenare un conflitto che nessuno vorrebbe.

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