Borsellino, trent’anni di depistaggi per la morte del giudice

Il 19 luglio 1992, trent’anni fa, in Via D’Amelio a Palermo ha perso la vita, per mano di Cosa nostra, il giudice Paolo Borsellino. Con lui sono morti anche cinque agenti della sua scorta. Nonostante gli anni e i processi, le famiglie delle vittime ancora non hanno trovato piena giustizia.

Falcone e Borsellino
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – lettoquotidiano.it

La strage, avvenuta poco meno di due mesi dopo la morte di Giovanni Falcone, anche lui impegnato nella lotta contro la mafia, è sempre stata poco chiara a causa dei tanti depistaggi. Ma c’è un giudizio, ancora non arrivato all’ultimo grado, che pende su Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante di Cosa Nostra.

Morte di Borsellino, “il depistaggio più grave della storia repubblicana”

Era il 1994 quando si celebrava il primo processo per fare luce sulla morte di Borsellino e della sua scorta. Il giudice, amico di Falcone, con cui aveva condiviso la lotta alla mafia tanto da farne la propria ragione di vita, è rimasto ucciso in un attentato assieme ad Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Alle 16:26, al passaggio del magistrato palermitano, una Fiat 126 imbottita di tritolo esplose in via D’Amelio, davanti all’abitazione della madre di Borsellino.

Strage di via D'Amelio
Strage di via D’Amelio – lettoquotidiano.it

Vincenzo Scarantino, primo reo confesso, Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino, proprietario dell’officina in cui venne riempita di esplosivo la macchina, e Piero Scotto vennero condannati in primo grado all’ergastolo, tranne il primo, al quale fu data una pena di 18 anni di reclusione per aver confessato. Le decisioni cambiarono in appello: Scotto venne assolto e Orofino fu condannato a nove anni per favoreggiamento.

Un secondo processo si concluse nel 2004. A finire nel registro degli imputati gli uomini della Cupola e i capi mandamento di Cosa Nostra. Nel processo bis, furono condannati all’ergastolo Totò Riina, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri, Giuseppe Graviano, Carlo Greco, Gaetano Scotto, Francesco Tagliavia, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso e Gaetano Murana. Ai primi sette venne dato il carcere a vita già dal primo appello, mentre i secondi furono condannati all’ergastolo solo in appello.

Così come per il processo del 1994, le sentenze furono definitive, ma il pentimento del capomafia Gaspare Spatuzza rimescolò le carte in tavola. Lui fu il primo a denunciare il depistaggio nelle indagini, dichiarando che ci furono delle false accuse di Scarantino. Vennero sospese e poi annullate le condanne di Profeta, Scotto, Vernengo, Gambino, La Mattina, Urso e Murana.

Un’altra tranche del processo ebbe la sua conclusione nel 2006. In quell’occasione, dalla Corte d’Assise d’appello di Catania furono condannati all’ergastolo Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michelangelo La Barbera, Raffaele e Domenico Ganci, Francesco e Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Filippo Graviano, Cristoforo Cannella, Salvatore Biondo il ”corto” e Salvatore Biondo il ”lungo”, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Benedetto ”Nitto” Santapaola, Mariano Agate, Benedetto Spera.

Ai due collaboratori di giustizia Antonino Giuffrè e Stefano Ganci furono inflitte pene per 20 e 26 anni di reclusione. Furono condannati a 18 anni e 10 mesi Salvatore Cancemi, 13 anni e 10 mesi Giovanni Brusca e 16 anni e 10 mesi Giovanbattista Ferrante, tutti e tre pentiti.

Strage di via D’Amelio, l’ultimo atto è stato scritto giovedì

Nel 2021 sono arrivate le sentenze definitive per calunnia per Salvatore Madonia e Vittorio Tutino. I due capimafia sono stati condannati all’ergastolo per strage, Calogero Pulci dovrà scontare dieci di anni di prigione, Francesco Andriotta 9 anni e sei mesi, mentre il reato di Scarantino è caduto in prescrizione.

Ma è il processo di depistaggio che è fresco di condanna, anzi di prescrizione e assoluzione. Per Mario Bo e Fabrizio Mattei, agenti della polizia accusati di aver inquinato le indagini, il reato, aggravato dalla calunnia, è caduto in prescrizione.

Insomma, in tanti piccoli tasselli, da trent’anni a questa parte, si è ricostruita la mano della mafia nell’attentato del giudice Borsellino, ma ancora non si hanno spiegazioni sulle responsabilità esterne a Cosa nostra, alla sorte dell’agenda rossa del magistrato palermitano, il diario sul quale il giudice scriveva i suoi segreti, fino ai nomi degli autori del depistaggio delle indagini.

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