Quando è Facebook a togliere l’amicizia, il caso dell’Australia

Il colosso social non ci sta e viola i patti di Canberra. Inizia così una bagarre tra il gigante del web e il governo australiano che riguarda tutti.

Battaglia tra Facebook e Australia Informazione
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Lo scontro scaturisce dal disegno di legge che prevede pagamenti per i big della rete alle testate giornalistiche e ai vari editori ogni volta che utilizzano articoli e contenuti da loro prodotti.

Il blocco dell’Australia

Se Google ha deciso di accogliere le richieste dei giornalisti, Mark Zuckerberg è riluttante e risponde con la potenza dei suoi mezzi.

Tant’è che, sui suoi social, ha bloccato i profili dei media australiani e, qualche ora fa, anche le pagine del governo di Sidney.

Nulla importa se tra gli oscurati ci sono anche gli enti che tengono aggiornati i cittadini sulla situazione sanitaria, fornendo le relative indicazioni.

È una questione di interessi economici e Facebook, la vetrina indispensabile allo youtuber e all’influencer, all’artigiano e al politico, all’idraulico come al filosofo, li difende strenuamente.

Ma poi le parole del premier Scott Morrison hanno tuonato: “un gesto arrogante e deludente” ha definito l’azione di offuscamento.

Sul piede di battaglia Morrison aggiunge:

“Sono in contatto con i leader di altre nazioni, non ci lasceremo intimidire”.

La piattaforma dei like ha risposto sulla sua bacheca, lasciando di stucco per il motivo addotto: nulla è stato fatto di proposito, l’accaduto è stato “un errore” del quale si chiedono le scuse.

Buona informazione, una questione di sopravvivenza

Ma il pericolo rimane. A perderci i cittadini del globo che, col passare del tempo, potrebbero essere privati dell’informazione, quella buona. 

Il giornalismo, ora scialbo della ricchezza che lo caratterizzava solo un decennio fa, rischia un ulteriore inevitabile impoverimento di contenuti e ontologico (perdendo la sua ragion d’essere e diventando altro) in caso dovesse rimanere soggiogato ai colossi del web.

Ma se Zuckerberg cedesse agli Australiani, aprirebbe la pista alle richieste di Statunitensi, Canadesi ed Europei, insomma tutti i Paesi del globo. Un effetto domino da debellare.

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