Omicidio Macchi, dopo la prova falsa il colpo di scena: Binda è libero

Per l’omicidio Macchi dopo 30 anni di mistero arriva la sentenza. Chi è il vero l’assassino?

La giovane studentessa uccisa, Lidia Macchi

Una svolta nell’omicidio Macchi dopo 30 anni di enigma arriva la sentenza di primo grado per l’assassino. Tutta la verità in una poesia?

La tragica morte di Lidia

Lidia Macchi, una giovane studentessa di vent’anni, iscritta a giurisprudenza all’Università Statale di Milano, molto attiva negli ambienti del mondo cattolico, faceva parte di Comunione e Liberazione ed era capo scout in una parrocchia di Varese.

Il 5 gennaio del 1987 esce di casa per andare a trovare un’amica, ricoverata nell’ospedale di Cittiglio, in provincia di Varese e non fa più ritorno.

La giovane studentessa non è mai arrivata in ospedale e da quel momento si sono perse completamente le sue tracce.

Qualche giorno dopo, viene ritrovato il suo cadavere in un bosco nei pressi di Varese. Secondo le ricostruzioni fatte dagli inquirenti e dalla Procura, la morte della giovane donna – prima violentata e poi uccisa, – non sarebbe stata causata dalle 29 coltellate ma per asfissia dopo una notte passata nel bosco al gelo.

La verità viene a galla in una poesia

Non è stato facile giungere alla verità, per quasi 30 anni gli inquirenti hanno vagliato una serie di ipotesi senza mai riuscire a indirizzarsi su una pista concreta.

Nel 2014, viene pubblicata una poesia su un giornale locale, La Prealpina, intitolata:

“In morte di un’amica”

una sorta di auto-confessione che era stata ritrovata a casa della donna già nel periodo dell’omicidio.

Una testimone riconosce la calligrafia e allarma gli inquirenti e la procura

“Mi colpì la grafia in quanto da subito mi sembrò familiare. Così andai a riprendere le cartoline che mi aveva spedito in quegli anni Stefano Binda e con sorpresa notai una grande somiglianza nella grafia stessa”

Successivi accertamenti e perizie calligrafiche confermarono le impressioni della donna.

Chi è Stefano Binda?

Da tutti descritto come un ragazzo affascinante e brillante dal punto di vista intellettuale ma con problemi legati al consumo di droga.

Stefano e Linda erano entrambi legati al mondo cattolico e facevano parte di Comunione e Liberazione.

Si presuppone che la notte del 5 gennaio 1987, Stefano Binda, abbia forzato Lidia ad avere un rapporto sessuale ma che subito dopo si sarebbe pentito del suo peccato di fronte a Dio e l’avrebbe punita accoltellandola.

La tesi accusatoria, accolta dalla sentenza, sosteneva che Binda si sentisse colpevole dal punto di vista religioso a causa della sua fede che rasentava il fanatismo.

La condanna di Stefano Binda all’ergastolo

Il 24 aprile del 2018 i giudici della Corte d’Assise di Varese hanno emesso la prima importante sentenza per l’omicidio di Lidia.

Stefano Binda, ex compagno di liceo di Lidia viene condannato all’ergastolo nel processo di primo grado. Non si esclude, oltre alla semplice amicizia, un legame sentimentale tra lui e la vittima.

Secondo gli inquirenti, Stefano Binda l’avrebbe dapprima violentata e poi inflitto 29 coltellate.

Gli avvocati di Stefano Binda – Sergio Martelli e Patrizia Esposito – non si arrendono, continuano ad andare avanti nei successivi gradi di giudizio per provare la non colpevolezza del loro assistito.

La madre di Lidia Macchi, Paola Bettoni, ha commentato così la sentenza:

“Da una parte sono contenta, dall’altra penso a una mamma che si trova con un figlio in una situazione così, io ho perso mia figlia ma anche lei. Lidia non meritava un morte così”

Ribaltata la sentenza: Stefano Binda assolto in Appello

Colpo di scena per la famiglia Macchi, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha assolto Stefano Binda,  lʼuomo torna in libertà dopo tre anni e mezzo di carcere.

I giudici hanno respinto la richiesta del sostituto PM Gemma Gualdi, del Tribunale di Varese che aveva proposto il carcere a vita per Stefano Binda.

Secondo i giudici della Corte d’Appello di Milano, presieduti da Ivana Caputo, non fu lui a massacrare Lidia Macchi con 29 coltellate. Per tanto l’imputato va assolto dall’accusa di omicidio volontario pluriaggravato:

“per non aver commesso il fatto”

con revoca della condanna inflitta nell’aprile 2018 nella sentenza di primo grado di giudizio e l’immediata liberazione dell’ imputato:

“VOGLIAMO SAPERE LA VERITA’ SU QUELLO CHE E’ ACCADUTO”

 

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