Elezioni, chi non ci sarà per scelta e chi per il taglio dei parlamentari

Una vita dedicata alle istituzioni, alla politica: dalla regione fino al Senato, Pier Luigi Bersani è il primo che dà forfait e che non si candiderà alle prossime politiche del 25 settembre. Ma l’ex segretario del Pd, non è l’unica che rinuncerà a un posto tra Camera e Senato. Tra taglio dei parlamentari e decisioni consapevoli, chi sono gli illustrissimi onorevoli che non verranno fatti fuori alle elezioni, o che proprio non correranno

Senato
L’aula del Senato – lettoquotidiano.it

Adriano Galliani si dedicherà anima e corpo al suo Monza, neopromosso in Serie A, mentre Piero Fassino rischia di uscire di scena dopo il passaggio da 945 senatori e deputati a 600.

Parlamento, nella prossima legislatura tanti big della politica dico addio

Sarà un po’ il taglio dei parlamentari, ridotti di un terzo dopo la vittoria del referendum costituzionale del settembre 2020, sarà che si vogliono dedicare altro, ma l’idea di fondo è che Camera e Senato verranno depauperate di figure storiche della politica. Personaggi che hanno lavorato, nell’ombra o no, per decenni tra Montecitorio e Palazzo Madama e che, dal 13 ottobre, giorno di insediamento del prossimo Parlamento, non vedremo più sulle sedie del potere.

Il primo che pare abbia alzato bandiera bianca è Pier Luigi Bersani. Il piacentino, nato lo stesso giorno di Silvio Berlusconi – quel 29 settembre che rimanda anche a Lucio Battisti e a Mogol, che ha scritto la canzone omonima probabilmente per omaggiare il compleanno della sua prima moglie Serenella -, sono 42 (quarantadue!) anni che ha dedicato la sua vita alla politica.

Pier Luigi Bersani
Pier Luigi Bersani – lettoquotidiano.it

Dal 27 giugno del 1980, giorno in cui viene eletto consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, nelle liste del Pci, l’ex segretario dem non ha mai smesso di candidarsi, e qualche volta vincere. Due volte ricopre il ruolo di governatore della sua amatissima regione: nel 1993 sostituisce Enrico Boselli, poi è lui a correre e a passare.

Fa il salto di qualità quando Romano Prodi lo propone, nel 1996, come ministro dell’Industria, del commercio e dell’artigianato. La fiducia gli viene rinnovata anche da Massimo D’Alema, che gli dà l’incarico di presiedere il Ministero dei Trasporti e della navigazione. C’è l’elezione a deputato, poi, e quello a europarlamentare. La carica di segretario del Partito Democratico e la fuoriuscita per far nascere un nuovo partito. C’è tutto, nella carriera di Bersani. Anche la scelta di farsi da parte.

La stessa di Roberto Giachetti, con cui condivide la scelta di abbandonare il Pd – l’ex candidato sindaco di Roma, è passato dal suo amico Matteo Renzi, però, a Italia Viva. Dopo la quinta legislatura di fila da deputato (2001, 2006, 2008, 2013 e 2018), è arrivato anche per il nato radicale il momento di dedicarsi altro.

Chi si dedicherà sicuramente ad altro è Adriano Galliani, tornato al suo primo amore: il calcio. L’amministratore delegato del Monza, già storico e vincente ad del Milan, di Berlusconi è sceso in campo solo nel 2018 ed è stato eletto senatore della Repubblica. Ora vuole concentrarsi sulla squadra brianzola, e magari piazzare qualche altro colpo alla Mario Balotelli.

Parlamento, tra il vincolo di mandato (non scritto) e il taglio dei parlamentari

Se c’è chi ha scelto consapevolmente di rinunciare a un posto in Parlamento, e quindi a diecimila euro lordi al mese per cinque anni, c’è anche chi, per calcolo politico o di mandato, dovrà dire addio alle aule di Montecitorio e Palazzo Madama.

Nel Partito Democratico, i primi a essere quasi certi di uscire di scena ci sono Piero Fassino (eletto per sei legislature), Barbara Pollastrini (anche lei, sei), Roberta Pinotti (ferma, si fa per dire, a cinque), Luigi Zanda (idem come sopra), Andrea Marcucci (quattro legislature) e Francesco Verducci (tre).

Per Marianna Madia, ministra senza portafoglio dei governi Renzi e Gentiloni, eletta tre volte al Parlamento, e sempre alla Camera, si prospetta, invece, un nuovo ruolo di spicco. Potrebbe essere infatti impegnata per le regionali del Lazio del 2023, quelle in cui ad abdicare potrebbe essere un altro ex segretario dem Nicola Zingaretti.

Quanto a Forza Italia, dopo l’addio di Renato Brunetta, Mariastella Gelmini ed Elio Vito, e la quasi certa dipartita forzista di Mara Carfagna, altri nomi illustri saranno fatti fuori dalle liste del partito del Cavaliere redivivo.

Diranno addio (forse) Stefania Prestigiacomo (sette legislature) e Renato Schifani (una legislatura in meno della collega). Roberto Bagnasco potrebbe lasciare il posto al figlio Carlo e, anche a casa Cesaro, Luigi vorrebbe passare il testimone all’erede Armando, già consigliere regionale campano.

Dovranno giocarsela fino alla fine, stando a quanto riferiscono alcuni voci, Simone Baldelli, Catia Polidori, Elvira Savino e Renata Polverini. L’ex governatrice del Lazio potrebbe pagare a caro prezzo la fiducia votata al governo Conte 2.

Tra le file dei Cinque Stelle, c’è poco da ipotizzare. Anche ieri, il fondatore Beppe Grillo ha ribadito l’importanza del vincolo al doppio mandato, per cui molti parlamentari, a meno che non decidano di abbandonare all’ultimo il movimento, non verranno neanche presi in considerazione.

Paola Taverna, per esempio, ha già esaurito le due legislature, ma a farle compagnia ci sono anche politici che dal 2013 stanno recitando un ruolo importante in Italia. Roberto Fico, ora presidente della Camera, tornerà a lavorare nella comunicazione, Danilo Toninelli nell’arma (forse), e anche Carlo Sibilia, Vito Crimi e Alfonso Bonafede riprenderanno i loro incarichi.

Dulcis in fundo: la Lega. Se Fratelli d’Italia avrà più scranni che mai (nella sua storia), il partito di Matteo Salvini dovrebbe uscire leggermente ridimensionato rispetto al 2018 dalle elezioni del 25 settembre. A farne le spese potrebbe essere il fondatore, Umberto Bossi, più di là che di qua.

Il Senatur, a Roma, c’è dal 1987: dalla prima Repubblica. Letteralmente una vita fa. Un intervento in extremis di Giulio Tremonti – vicinissimo alla presidente a vita dei leghisti -, però, potrebbe sparigliare ancora le carte in tavole. Perché la riconoscenza non è mai troppa.

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